BRODSKIJ E LA GUERRA “Lettera al generale Z”

Nell’esemplare appartenuto all’autore del secondo tomo dei “Componimenti di Josif Brodskij”, dopo la data 1968, veniva annotato: ”autunno; dopo l’invasione della Cecoslovacchia”. E’ plausibile che il modello della poesia fu suggerito a Brodskji dalla “Lettera al generale X“ di Antoine De Saint-Exupèry, uno degli scrittori preferiti della sua giovinezza. Pervaso dal pathos del pacifismo e dell’antitotalitarismo, il saggio fu scritto nel 1943 in una base militare del Nord Africa due mesi prima della morte dello scrittore e pubblicato postumo. In Russia circolò nei samizdat nella traduzione di Marina Kazimirovna Baranovich.

In Brodskij la “Lettera al generale Z” acquisisce una connotazione maggiormente ironica conservando, tuttavia, l’ambientazione tropicale che ricorda i film sulle imprese della Legione Straniera o di altri corpi di spedizione nei paesi caldi. In tal modo, a paragone delle posizioni di Brodskij su altre imperialistiche azioni del potere sovietico (vedi la poesia non pubblicata sulla rivoluzione ungherese del 1956), la “Lettera al generale Z” fu scritta in uno stile più iconoclastico, simbolico. Una particolare attenzione merita la ricorrente topica del gioco delle carte, l’iniziale calembour – carte geografiche/carte da gioco – della prima strofa che richiama l’avventurismo, il barare, lo spreco.

Un possibile impulso alla genesi del motivo delle carte fu il racconto, noto a Brodskji, della vedova di Bulgakov sull’incontro con Saint-Exupèry presso il consigliere dell’ambasciata americano a Mosca il primo maggio del 1935: ”Il francese – che risultò essere anche un pilota – raccontava dei suoi pericolosi voli. Faceva vedere inconsueti giochi di prestigio”.

Nei dettagli “LGZ” richiama sia la poesia del poeta americano Reed Whittemor “Un giorno con la Legione Straniera”, che Brodskji tradusse, che la lettera da lui scritta a Breznev sebbene qui il destinatario del poeta sia un’entità più surreale. Giova aggiungere che Brodskij rimandò la composizione di “LGZ” ai versi da lui composti sotto l’influenza poetica di Auden.

  “Ancora più acutamente il tema della responsabilità per gli atti storici della patria appare in Brodskij come un particolare sentimento di vergogna, disonore. Alla domanda se ci fossero stati momenti in cui aveva fortemente desiderato fuggire dalla Russia, rispose: “Sì, quando nel 1968 i carri armati sovietici invasero la Cecoslovacchia. Allora, ricordo, ebbi la voglia di fuggire ovunque possibile. Prima di tutto per la vergogna. Per il fatto che appartengo allo stato che compie queste azioni. Perché, bene o male, parte della responsabilità ricade sempre sul cittadino di questo stato”. Reagì all’occupazione della Cecoslovacchia con la “LGZ”, il cui protagonista, un vecchio soldato dell’impero, si rifiuta di combattere. (dal libro di Lev Losev “Josiph Brodskij”, 2006)   

                                                         LETTERA AL GENERALE Z

                                                 La guerra, Vostra Grazia, è solo un gioco vuoto.

                                                           Oggi – fortuna e domani – un buco.

                                                         (Canzone sulll’assedio de La Rochelle) (1)      

Generale! Le nostre carte sono una merda. Passo.

Il Nord non è affatto qui ma nel Circolo Polare Artico.

E l’Equatore è più ampio della banda dei vostri calzoni.

Perché il fronte, generale, è al Sud.

A una tale distanza una radiotrasmittente

 trasforma qualsiasi ordine in boogie-woogie.

Generale! La confusione è degenerata in bordello.

L’impraticabilità delle strade non consentirà di ammassare riserve

e cambiare la biancheria: il lenzuolo è carta smerigliata;

questo, sapete, mi dà sui nervi.

Mai finora, credo, sia stato così

imbrattato l’altare di Minerva. 

Generale! Stiamo così a lungo nel fango

che il re di cuori esulta in anticipo

e il cuculo tace. Dio ce ne scampi,

tuttavia, dall’ascoltare il suo verso.

Ritengo che bisogna dire merci

che il nemico non attacca.

I nostri cannoni stanno con le canne sprofondate a terra,

le palle si sono afflosciate. Soltanto i trombettieri,

estraendo le trombe dai

foderi, come accaniti onanisti,

le lucidano giorno e notte così che all’improvviso

quelli emettano un suono.

Gli ufficiali vagano, disprezzando il regolamento,

in calzoni a sbuffo e giubbe di diversi semi.

I soldati nei cespugli sulle terre arse

si abbandonano l’un l’altro ad una vergognosa passione

e arrossisce, abbassando il vessillo scarlatto,

il nostro sergente-scapolo.

Generale! Io ho combattuto sempre e ovunque

per quanto fossero scarse e incerte le possibilità.

Non avevo bisogno di un’altra stella

oltre quella che è sul vostro cappello.

Ma ora sono come nella favola su quel chiodo:

piantato nel muro, privato della capocchia. 

Generale! Purtroppo la vita è una.

Per non cercare maggiori prove,

ci toccherà bere fino in fondo

il nostro calice in questi boschi insignificanti:

la vita, probabilmente, non è così lunga

da accantonare il peggio a tempo indeterminato.

Generale! Solo alle anime sono necessari i corpi.

Certo le anime, si sa, sono estranee alla gioia maligna

e qui, penso, ci ha portato

non la strategia ma la sete di fratellanza: (2)

è meglio mettere bocca negli affari altrui

se non ci raccapezziamo nei nostri.

Generale! Adesso ho la tremarella.

Non capisco il perché: per vergogna o per paura?

Per mancanza di donne? O semplicemente è un ghiribizzo?

Non aiutano né il dottore né il guaritore.

Perché probabilmente il vostro cuoco

non distingue dove sia il sale, dove lo zucchero.

Generale! Ho paura che siamo finiti in un vicolo cieco.

Questa è la vendetta di uno spazio ampio.

Le nostre piche si arrugginiscono. La presenza di piche –

non è ancora garanzia di un bersaglio.

E la nostra ombra non si sposterà davanti a noi

persino all’ora del tramonto.

Generale! Voi sapete che non sono un vigliacco.

Tirate fuori il dossier, fate delle indagini.

Sono indifferente al proiettile. In più

non temo né il nemico né la posta in gioco.

Che mi piantino pure un asso di quadri

tra le scapole – chiedo le dimissioni!

Io non voglio morire per

due o tre re che

non ho mai visto in faccia

(non si tratta di paraocchi ma di tende impolverate).

Tuttavia non ho nemmeno voglia di vivere

per loro. A maggior ragione.

Generale! Sono stufo di tutto. Mi

annoia la crociata. Mi annoia

 la vista nella mia finestra di montagne

immobili, boschetti, anse di fiumi.

E’ brutto quando il mondo all’esterno

è stato concepito da chi è tormentato dentro.

Generale! Non penso che, abbandonando

le vostre fila, le indebolirò.

Non sarà una grossa sciagura:

io non sono un solista ma uno estraneo all’ensamble.

Tolto il bocchino dal mio zufolo,

brucio la mia uniforme e spezzo la sciabola.

Anche se non vedi gli uccelli, si sentono.

Il cecchino, tormentandosi di sete spirituale, (3)

non si sa se l’ordine o la lettera della moglie,

appollaiato su un ramo, legge due volte

e per noia il nostro artista si mette

a disegnare un cannone con la matita.

Generale! Soltanto il Tempo apprezzerà voi,

le vostre Cannes, le fortificazioni, l’accampamento, le coorti.

Nelle accademie andranno in estasi,

le vostre battaglie e le vostre nature morte

serviranno a far dilatare occhi,

sguardi sul mondo e l’aorta in generale.

Generale! Devo dirvi che voi

siete come un leone alato all’ingresso

di un portone. Giacché voi, ahimè,

non esistete proprio in natura. (4)

No, non è che siete morto

o siete stato battuto – voi non ci siete nel mazzo di carte.

Generale! Che mi mandino sotto processo!

Voglio portarvi a conoscenza del caso:

il totale delle sofferenze dà l’assurdo;

che l’assurdo abbia un corpo!

E si profila la sua sagoma

con qualcosa di nero su qualcosa di bianco.

Generale! Vi dirò un’altra cosa:

Generale! Vi ho usato per la rima con la parola

“è morto” – cosa mi è successo ma (5)

Dio non ha completamente separato

il grano dalla pula e adesso

usare questa rima – è una balla.

Nella landa desolata dove di notte ardono

due lampioni e marciscono i vagoni,

toltomi a metà il vestito

da clown e strappate le spalline,

mi blocco, incrociando lo sguardo

della macchina fotografica Leitz o gli occhi della Gorgone.

Notte. I miei pensieri sono colmi di una

donna, meravigliosa dentro e di profilo.

Quello che mi succede adesso

sta più in basso dei cieli ma più in alto dei tetti.

Quello che mi succede adesso

non vi offende.

Generale! Voi non esistete e il mio discorso

è rivolto, come al solito, ora

in quel vuoto, i cui contorni sono i contorni

di un vasto, sordo deserto

che sulle mappe, cosa che voi ed io

abbiamo potuto vedere, non è nemmeno menzionato.

Generale! Se tuttavia voi mi

ascoltate, significa che il deserto cela

in sé una certa oasi, allettando

con ciò il cavaliere; e il cavaliere, quindi,

sono io; sprono il cavallo;

il cavallo, generale, non galoppa da nessuna parte.

Generale! Avendo combattuto sempre come un leone

lascio una macchia sulla bandiera.

Generale! Anche un castello di carte – è un porcile.

Vi scrivo un rapporto, mi attacco alla borraccia.

Per chi è sopravvissuto al grande bluff,

la vita lascia un brandello di carta. 

Autunno 1968

  1. Nell’epigrafe, composta da B., il “buco” appare come metafora della morte a seguito di una pallottola.
  2. Nella propaganda sovietica l’invasione della Cecoslovacchia veniva spacciata per “aiuto fraterno”.
  3. Imprecisa citazione dalla poesia di Puskin  “Il profeta”.
  4. Nella sua corrispondenza da Mosca “Paris-Soir” Saint-Exupèry scriveva di Stalin: ”Si può quasi credere che non esista per quanto sia invisibile la sua presenza.”
  5. In russo la parola “umiràl” fa rima con la parola “gheneràl” (generale).    

2 Comments

  • Giorgio Linguaglossa

    Il tema della responsabilità del popolo per la guerra scatenata dai suoi governanti e quindi della corresponsabilità di ciascun membro di quel popolo, è un tema molto dibattuto. Personalmente mi associo alla posizione di Brodskij: ciascun cittadino è sempre corresponsabile delle guerre scatenate dal loro governante/governanti, e, nel caso di una guerra di aggressione del tutto gratuita, ogni cittadino ha l’obbligo politico e morale di opporsi, di opporre una resistenza attiva e/o passiva di fronte a chi ha scatenato la guerra. Non c’è propaganda che possa convincermi che sia giusto scatenare una guerra per la riconquista dell’Istria e della Dalmazia, un tempo italiane o della Savoia, un tempo piemontese. Non c’è propaganda valida che possa giustificare una guerra di aggressione, questo è il mio personale principio. Un secondo mio personale principio è che è giusto prendere le armi contro lo stato (anche lo stato a cui appartengo) che ha scatenato una guerra.
    Quanto poi al fare poesia, penso che scrivere una poesia sulla guerra sia ad altissimo rischio di banalizzare all’estremo una tragedia gigantesca, meglio quindi evitare, a meno che non sia Brodskij in persona che la scrive.

  • Giorgio Linguaglossa

    Negli anni che vanno dal 1914 al 1945 l’Occidente ha messo in atto, senza averne coscienza, un vero e proprio tentativo di auto annientamento. La guerra fredda che è seguita è stato un interludio di pace, armata ma di pace. Oggi con la guerra di invasione dell’Ucraina qui in Europa siamo entrati in una nuova era che però ci è ignota, in un certo senso noi siamo gli abitanti dell’ignoto. Non sappiamo se un’altra epoca si aprirà davanti a noi o se ci sarà il diluvio. Auden titolò L’età dell’ansia un poemetto ambientato in un bar di New York verso la fine della seconda guerra, oggi non so quale sarà il titolo di un libro di poesia che passerà ai posteri, forse il libro di Francesco Paolo Intini, Faust chiama Mefistofele per una metastasi (2019). Il titolo del mio libro che sto per dare alle stampe è Il misuratore delle ombre uscì dalla cadillac nera, con sottotitolo, Distretto n. 18.
    Ora che ci penso la parola «distretto» è un termine militare, siamo già tutti militarizzati senza saperlo e senza volerlo, viviamo da tempo in una zona della vita quotidiana altamente militarizzata (in Europa ci ha demilitarizzato la filosofia del Dollaro, in russia la filosofia della Grande Russia) in quanto disponiamo di un inconscio storico de-politicizzato e di una vita privata de-privata in via di privatizzazione progressiva. La nuova militarizzazione delle coscienze e dell’inconscio si avvale di una vita privata che è stata de-privata, che è ormai incapace di esperire esperienze, si oscilla tutti tra turismo e terrorismo. E questo lo troviamo accettabile. L’unico significato stabile che in queste condizioni dà certezze è l’uuccisione, singolare e di massa. Tutto il resto è ideologia della vita quotidiana.

    «Fondamento del terrore è l’idea che soltanto l’uccisione offra la garanzia del significato. Tutto il resto appare labile, incerto, inadeguato.
    […]
    Nello stadio ultimo della sua formazione, il terrorismo islamico coincide con la diffusione della pornografia in rete, negli anni Novanta. All’improvviso si trovarono davanti agli occhi, facilmente e perennemente disponibile, ciò che avevano sempre fantasticato e desiderato. e che al tempo stesso svelleva l’intero assetto delle loro regole riguardo al sesso. Se quella negazione era possibile, tutto doveva essere possibile. Il mondo secolare aveva invaso la loro mente con qualcosa di irresistibile, che li attirava e al tempo stesso li irrideva e li esautorava. Senza uso di armi – e oltretutto non ammettendo o esigendo la presenza del significato. Ma loro sarebbero andati oltre. E, al di là dal sesso, c’è solo la morte. Una morte sigillata dal significato.
    ha scritto Roberto Calasso ne L’innominabile attuale (Adelphi, 2017 p. 14)

lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.