Bella Achmadulina
Dopo la pubblicazione di “L’amore al tempo del disgelo” abbiamo ricevuto da Antonio Sagredo, poeta, allievo del maestro Angelo Ripellino e profondo conoscitore della letteratura russa, questo interessante contributo che volentieri pubblichiamo, ringraziandolo per la collaborazione.
C’è un filo rosso che lega i destini dell’Achmatova e della Cvetaeva a quello della poetessa Bella Achmadulina (1937-2010) e questo filo è Boris Pasternàk.
Ma questo non deve stupirci più di tanto perché tante altre poetesse meno note (ma importanti più o meno per una storia della poesia russa del secolo XX) legarono e intrecciarono i loro destini ai destini delle prime due più celebri poetesse ( e ovviamente a quelli di altri poeti), sia per temi similari che trattarono o per indole simpatica molto vicini e affini. Ne cito alcune di poetesse scoperte e finalmente tradotte dall’amico slavista Paolo Statuti, a cui dobbiamo la conoscenza e notizie di decine e decine di poeti e poetesse russi. E allora:
Elena Tager (1895-1964) –
le sue poesie, comprese quelle dedicate ad A. Achmatova e O. Mandel’štam furono diffuse nel samizdat. Nel 1965 uscirono a New York i suoi ricordi di Mandel’štam.
Ida Nappel’baum (1900-1992) –
Poetessa e fotografa russa era la figlia maggiore del celebre fotografo ritrattista Moisej Nappel’baum (1869-1958), autore di molti famosi ritratti di rivoluzionari, letterati e scienziati … ricorda nelle sue Memorie: “È iniziata la cerimonia funebre. Il coro ha cantato. Gli occhi di tutti però non erano rivolti all’altare e nemmeno alla bara, ma al punto dove mi trovavo io. Ho cominciato a guardarmi intorno, cercando di capire il motivo, e ho visto dietro di me la figura alta e snella di Anna Achmatova. Le lacrime le rigavano il pallido viso. Lei non le nascondeva. Tutti piangevano e il coro cantava.
Natal’ia Petrovna Kuguševa (1899-1964) –
Conosceva Sergej Esenin, Boris Pasternàk, Rjurik Ivnev, Aleksej Kručonych, Tichon Čurilin. Già nel 1918 fu ammessa nell’Unione dei Poeti Russi, e nel 1920 entrò a far parte del gruppo letterario Laboratorio Verde, esibendosi in concerti di poesia.
Monina A. Varvara (1894-1943) –
La sua prima raccolta manoscritta risale al 1914 ed è intitolata Anemoni (simbolo cristiano della sofferenza.) Era sposata con Sergej Bobrov (1889-1971), poeta, scrittore, traduttore e matematico, uno dei fondatori del futurismo russo. Molte sue poesie sono apparse in antologie uscite nella seconda metà degli anni ’20 del secolo scorso. Esse erano bene accolte. Giudizi positivi furono espressi anche da Eduard Bagrickij (1895-1934) e Boris Pasternak (1890-1960). La cugina Olga Michalova (1898-1978), nelle sue memorie “Compagni di lettere” scrive: Ricordo una serata in cui Varvara si esibì nella Casa Herzen e alcuni giudizi. Il poeta e critico Ivan Aksjonov ha trovato in Monina una indiscussa originalità, mentre Pasternak ha esclamato: “La cosa migliore di te e l’impressionismo”.
Susanna Ukshe (1885-1945) –
Ignorata in vita e dopo la morte soltanto nel 2007 è uscito il volume “Legami d’argento della poesia” stampato dalla Casa-museo di Marina Cvetaeva di Mosca, già introvabile. Negli anni ’20 a Mosca fu vicina alla cerchia della Dimora letteraria e dal 1921 fu membro dell’Unione dei Poeti di tutta la Russia. Si considerava una acmeista. Fu influenzata dalla poesia di Aleksej Lozin-Lozinskij traduttore di Shakespeare e come tale superiore, secondo l’Achamtova, a Pasternàk. Scrisse poesie per il poeta, fucilato, N.S. Gumilëv, marito della Achmatova. Tradusse Dante, Petrarca, Shakespeare, Heine e Wilde.
La poetessa Elena Trepetova in un suo articolo La restituzione di un poeta afferma: «Conoscere la sua poesia è affascinante. Si tratta realmente della restituzione di un nome nuovo alla letteratura, ingiustamente dimenticato, degno di stare alla pari coi nomi di Achmatova, Gumilëv, Vološin… Sono poesie semplici, cesellate, estremamente sincere, fedeli alla tradizione classica, equilibrate e rigorose, e pure religiose tanto da definirle preghiere, come ad esempio L’icona della Madonna di Vladimir. Morì di consunzione il 7 febbraio 1945 in un ospedale di Alma-Ata.
Anna Radlova (1891-1949) –
La sorella di Anna Radlova, Sara divenne una famosa scultrice. È opera sua la lapide di Boris Pasternàk a Peredelkino (1965). La sorella Nadežda sposò un fratello di Osip Mandel’shtam. Nel 1914 sposò Sergej Ernestovič Radlov compositore e famoso regista tetrale. Nel 1916 iniziò a pubblicare sulla rivista Apollon. Dai primi anni ’20 fece parte del gruppo degli emotivisti (o emozionalisti), creato da Michail Kuzmin. Nel periodo 1918-1923 uscirono tre sue raccolte di poesie: Favi (1918), Navi (1920), L’ospite alato (1922) e il dramma in versi La nave della Madre di Dio (1923). Dal 1922 tradusse Balzac, Maupassant e Shakespeare. Le loro opere furono messe in scena dai teatri diretti dal marito S. E. Radlov: Kirov, Teatro Accademico del Dramma e Teatro Lensovet.
Boris Pasternak grande traduttore delle principali tragedie shakespeariane osservò che il bardo inglese “era stato tradotto da ottimi poeti” e fece i nomi di Michail Lozinskij e Anna Radlova. Tuttavia c’era anche chi, come ad esempio Anna Achmatova, odiava la sua omonima come rivale, sia nella poesia che nella vita privata (ci sono prove che l’Achmatova non fosse indifferente a suo marito Sergej Radlov).
Pasternàk aveva scritto una poesia intitolata “a Anna Achmatova” nel 1928 che
“è un compendio dei motivi di Anna Achmatova poetessa dell’Acmeismo; ed è anche il tentativo di dare un’immagine di lei. L’impostazione della poesia vuole riflettere quella colloquialità, quel senso di dialogo prosastico e raziocinato che la Achmatova inserì nel tessuto della poesia russa. (Ripellino).
Nella penultima strofa di questa poesia Pasternàk si riferisce al mito biblico e noto della moglie di Lot:
Tale io vedo il vostro aspetto e sguardo.
Esso mi è ispirato non da quella statua di sale,
con cui voi cinque anni addietro
avete attaccato alla rima la paura di voltarsi indietro.
…riprendendo questo motivo da una poesia dell’Achmatova intitolata La moglie di Lot del 1921, poesia che aveva parecchio colpito Pasternàk. E alla poesia di questi del 1928, la poetessa rispose con altra poesia che è “ un po’ più semplice e che è a sua volta un compendio di motivi pasternakiani”. Insomma una sorta di botta e risposta! E che vale la pena di essere pubblicata qui:
Lui che si è paragonato ad un occhio equino
guarda di sghembo, osserva, vede, riconosce
ed ecco già, come diamante fuso,
brillano le pozzanghere, languisce il ghiaccio.
In una nebbia lilla riposano i cortili,
banchina, travi, foglie, nuvole.
Il fischio della locomotiva, lo scricchio della buccia del cocomero
È una mano timida in una pelle di daino profumata.
Tintinna, tuona, scricchiola, batte e risacca
E d’improvviso si tace. Significa che lui
Si sta facendo strada, paurosamente, tra le conifere
Per non spaventare il leggero sogno dello spazio.
E ciò significa che gli sta contando i granelli delle spighe vuote,
significa che lui alla lapide di Darjàl’, maledetta e nera,
è giunto di nuovo da non so quali funerali.
E di nuovo brucia il languore di Mosca,
tintinna lontano il sonaglio mortale
chi si è perduto a due passi da casa,
dove la neve arriva alla cintola ed è la fine di tutto?
Per il fatto che egli si è paragonato a Laocoonte
Chi ha cantato i cardi del cimitero,
per il fatto che ha riempito il mondo di nuovi suoni
in un nuovo spazio di strofe riflesse,
di quella generosità, di quella perspicacia degli astri
tutta la terra è stata suo retaggio,
ed egli con tutti l’ha divisa.
E qui veniamo al punto, cioè al legame che accomuna la Achmatova alla Achmadulina, e infatti Ripellino sottolinea senza ombra di dubbio questo:
“È una stupenda poesia che rispecchia in pieno tutti i motivi di Pasternàk: l’essere attonito, assorto, l’infanzia, la semplicità, la tangibilità delle piccole cose (“il crocchiare della buccia di cocomero”) e la mano timida che aveva Pasternàk, e le conifere, e il sonno leggero dell’universo. Solo Bella Achmadulina è riuscita ad esprimere il mondo di Pasternàk con una simile intonazione”. (Ripellino)
Dunque propriamente con l’intonazione della Achmatova! E che non è cosa da poco, e che testimonia quanto la Achmadulina abbia affondato il suo sguardo poetico-critico dentro la poesia di entrambi i poeti, che d’altronde incontrò e bene conobbe di persona.
La mia nota n. 275 p. 113 (riferita al Corso su Pasternàk di A. M. Ripellino del (1972-73) recita a proposito della Achmadulina (per conoscenza al lettore):
“La poetessa Bella Achmadulina, nata nel 1937, è morta a Mosca il 29 novembre 2010. Il pianista Valerij Voskobojnikov (allievo del celebre pianista Nejghaus) mi comunicò per telefono questa luttuosa notizia mentre gli riferivo di questa mia cura del Corso monografico di A.M.R. su Pasternàk. Vi è in un numero della rivista “Europa letteraria” dell’ottobre 1962, Anno III, N. 17, pp.11-18, con traduzioni di Ripellino – che è una presentazione dello slavista dedicata alla Achmadulina dal titolo: Bella Achmadulina-Omaggio a Pasternàk e altre poesie. Vi sono in queste pagine riprodotte: una sua lettera alla poetessa (dove lo slavista rievoca l’incontro con Pasternàk del 1957); un ritratto di Pasternàk studente, fatto da suo padre Leonid e una fotografia della poetessa; inoltre poesie della poetessa tradotte in italiano dallo slavista: Il pianto è grande, I nomi delle donne georgiane, La mazurca di Chopin, Funerali in Abchazia, Pensavo che tu fossi un mio nemico”.
Dunque e ancora Ripellino e la poetessa Bella Achmadulina e questi versi di Pasternàk (da Estate, 1932):
“Irpen: questo è il ricordo degli uomini e dell’estate,
della libertà, della fuga di sotto al gioco,
delle conifere nell’afa, delle grigie violacciocche
e della vicenda di bonaccia, beltempo e foschia”.
Ripellino, in una lettera alla poetessa, riprende questi versi per ricordare l’incontro avuto con Pasternàk a Peredèlkino:
“Rivedo anch’io Pasternàk all’ingresso della sua dacia, in giacca di tela turchina e calzoni di tela latte: cordiale, sorridente, con gli occhi sgranati. Ho ancora nell’udito la sua voce cantilenante, arrochita, il suo trafelato balbettio, del tutto eguale al balbettio dei suoi versi. Lo sento ancora parlare della bellezza di avere amici lontani e del pudore che si prova nell’incontrarli; parlare di Marina Cvetaeva, di Bunin, di Cechov, lo sento ancora recitare, barbugliando, interrompendosi, ansando, una delle sue ultime liriche, “Baccanali”.
In Europa letteraria, ottobre 1962, op.cit., pp.16-17. (vedi pp. 4-5-6, sempre sull’incontro Pasternàk-Ripellino). A p. 175 l’intera poesia Estate.
(mia aggiunta alla nota 314, pag.147) :
“Ricordo ai lettori che, grazie a Bella Achmadulina, forse si è risolto il mistero del suicidio della poetessa Marina Cvetaeva: ad una persona che era stata nel cimitero di Elabuga, nella vana ricerca della tomba di Marina, una donna, forse figlia dell’uomo sconosciuto che staccò il corpo di Marina dal chiodo cui aveva attaccato la corda * col nodo fatale, consegnò un foglietto ripiegato, scritto a matita, trovato da quell’uomo nella tasca del grembiule nero indossato da Marina. Diffuso subito da Bella, si fu concordi su questa conclusione: il giorno prima a Marina, che cercava anche un lavoro come lavapiatti, fece visita un agente della polizia politica Nkvd: la visita e la conversazione che seguì avevano lo scopo di convincere la poetessa a prendere la decisione di collaborare, o ne sarebbero andati di mezzo la figlia già relegata in Siberia e il giovane amatissimo figlio Mur, che viveva con lei. Come chiusa in un sacco, Marina scelse l’unica strada che la sua coscienza le offriva: un cappio al collo”. (vedi p. 138 : continuo della nota 303… il poeta polacco futurista A. Wat…**)”.
(mia nota 303, p.137)
Pasternàk invece, a Parigi nel 1935, incontra la Cvetaeva e le confessa che è stato costretto ad essere presente a questo Congresso internazionale degli scrittori, e le dice: ”Non ho osato rifiutare; è il segretario di Stalin in persona che mi ha invitato. Ho avuto paura”. E ancora, sul desiderio della poetessa di ritornare in Russia le risponde: “Marina non andarci! A Mosca fa freddo. È piena di correnti d’aria!”. La poetessa è distrutta da queste affermazioni… Pasternàk perde valore per lei, e alla sua amica praghese Anna Tesková confessa:” Il mio incontro con Pasternàk è stato un non-incontro”. (da Henri Troyat, Marina Cvetaeva, L’eterna ribelle, ed. le Lettere 2002, p.183). Sappiamo che la poetessa ritornerà in Russia e che lotterà come sta già da tempo lottando un suo fratello altro in poesia: Osip Mandel’štam: entrambi saranno “uccisi”. Ma è antipatico questo Troyat, come del resto la Berberova, che dà la colpa a Pasternàk, come se questi fosse stato una concausa della morte di alcuni poeti: niente di più falso e ignominioso! Boris Pasternàk aiutò i suoi amici-poeti per quanto poteva farlo, per quanto gli era possibile farlo, e le testimonianze sono decine. Il poeta Aseev (l’amico fraterno di Majakovskij) p.e. non aiutò affatto la Cvetaeva ad Elaguba (era vicinissimo a questa località), e Pasternàk non tralascia di rimarcarlo appena saputo della morte della poetessa. Se Pasternàk ricevette una telefonata da Stalin e ne ebbe paura, la Cvetaeva, umiliandosi per ricevere un aiuto (credo fosse una sua simulazione) scrisse ai boia Stalin e Berija (1939) senza avere risposta alcuna. Forse qualcuno glielo suggerì di lavorare per la polizia segreta, e lei ne ebbe paura, orrore e terrore. Dei grandi poeti soltanto la Achmatova e Pasternàk sopravvissero all’epoca di Stalin, ma questa è già un’altra storia.
La corda*… Il poeta futurista polacco Aleksander Wat (Chwat) ** ci riferisce questo particolare agghiacciante sugli ultimi giorni della Cvetaeva, che quando alla poetessa fu permesso di evacuare a Elaguba “ad aiutarla a fare le valigie andò Pasternàk, che mentre stava annodando un pacco le lanciò una occhiata e disse : “Ecco una corda con cui all’occorrenza ci si può. impiccare”. Tempo dopo di ritorno, tristissima, da Čistopol, dove vide Šklovskij, Paustovskij e altri “tornò ad Elabuga, e il giorno dopo si impiccò con quella corda, la stessa con cui Pasternàk aveva legato il suo pacco.” in : A. Wat, Il mio secolo, Sellerio 2013, pag 597.
La Achmatova sopravvive a Stalin probabilmente perché poetessa famosa e per questo ascoltatissima durante l’assedio di Leningrado, infatti : “Nel 1941 la sua voce diventa ancora più universale, Stalin infatti autorizza la sua partecipazione alle trasmissioni della radio di Leningrado per tenere alto lo spirito di resistenza della città assediata dai tedeschi. In quell’anno pubblica il poemetto “Lungo tutta la Terra” (Putem vseja zemli), poesia soprattutto del ricordo e della riflessione, e comincia a scrivere le liriche de “Il vento della guerra” (Veter voiny), una raccolta di poesie scritte tra il 1941 e il 1945”. — Elena Dundovich, A.A. Achmatova – in Rivista DEP (deportate, esuli, profughi) pag. 92.
(mia aggiunta del 9 maggio 2022:
le città dell’Ucraina così care ai poeti russi sono minacciate dalle soldataglie di Input, alcune sono state rase al suolo o quasi – tutto è iniziato dal 24 febbraio 2022 – oggi 76° giorno di guerra!) . Irpen è quasi rasa al suolo. E in questi giorni (febbraio 2023) anche Soledar dalle truppe mercenarie “Wagner”, essendo poco affidabili i giovani soldati russi).
2 Comments
donata de bartolmeo
Devo rettificare quanto scritto da Giorgio Linguaglossa. Nel settembre del1992 mi sono recata a Mosca per ottenere da Bella Achmadulina l’autorizzazione a tradurre delle sue poesie x un lavoro richiestomi dalla Fondazione Piazzolla. La poetessa, già gravemente malata, non si trovava a Mosca. Fummo ricevuti con straordinaria cortesia da Boris Messerer, scenografo, scultore ed ultimo marito di Bella nella loro affascinante casa sull’Arbat. Nella mia visita successiva Messerer mi consegnò una bellissima lettera dell’Achmadulina piena di affetto e di consigli x il mio lavoro di traduttrice corredata da una sua fotografia: le conservo entrambe come una autentica reliqua.
Giorgio Linguaglossa
tutta l’intellighentsia russa del novecento, della prima metà del novecento era orientata verso la civiltà europea, la stessa cultura russa è parte integrante della cultura europea, non saprei dire oggi, dopo l’invasione diell’Ucraina in corso, quale sarà l’orientamento della cultura russa e, in particolare, dei suoi poeti. Bella Achmadulina è stata venerata come una deità in patria, a rileggerla oggi la sua poesia sembra scaturita da uno strano “giardino”, un po’ bizzarro, che ha qualcosa di noto e qualcosa di ignoto. Ricordo la casa della Achmadulina, lo studio dello scultore suo marito il cui nome adesso mi sfugge, era pieno di enormi sculture in ferro davvero notevoli… lei non apparve… abitava un’ala di quel grande appartamento… evidente che non riteneva la visita sufficientemente importante per scomodarsi a salutare gli ospiti…