IL GIORNO DI PUŠKIN

EXEGI MONUMENTUM

Mi eressi un monumento acherotipo,

non si infesterà il sentiero popolare che gli si avvicina,

col capo indocile si è innalzato più in alto

                     della colonna di Alessandro.*

a

No, non morirò del tutto – nella recondita lira l’anima

sopravviverà alle mie spoglie e sfuggirà alla putrefazione

e sarò celebre fino a quando nel mondo sublunare

                     anche un solo poeta sarà vivo.

a

Per tutta la grande Rus’ si parlerà di me

e mi invocherà qualunque lingua in essa esistente

e il fiero nipote degli Slavi e il Finlandese e l’odierno selvaggio

                       Tunguso e il Calmucco amico delle steppe.

a

A lungo sarò caro al popolo,

poiché con la lira risvegliai buoni sentimenti,

poiché nel mio secolo crudele glorificai la libertà

                           ed esortai alla pietà per i caduti.

a

O Musa, sii obbediente al volere divino

senza patire l’offesa e senza pretendere l’alloro,

accetta indifferente la lode e la calunnia

                           e con gli stolti non contendere.

Alexandr Puškin – 21 agosto 1836   

*Celebre monumento di San Pietroburgo, eretto tra il 1830 e il 1834 per celebrare la vittoria dello zar Alessandro I contro l’armata di Napoleone nella campagna di Russia del 1812. (NdT)         

Nel 2010 il Dipartimento dell’informazione delle Nazioni Unite ha istituito la giornata della lingua russa “per celebrare il multilinguismo e la diversità culturale e promuovere la parità di utilizzo di tutte e sei le lingue ufficiali di lavoro delle Nazioni Unite in tutta la sua Organizzazione”.

La Russia ha scelto di celebrare questa giornata il 6 giugno, per ricordare quel 6 giugno del 1799 in cui nacque a Mosca Alexandr Sergeevič Puškin, universalmente riconosciuto come il padre della lingua e della letteratura russa.

Aleksandr Puškin, ritratto del 1827 di Vasilij Tropinin

Puškin era nato in un’antichissima famiglia dell’aristocrazia, in un ambiente ricco di stimoli culturali. I rapporti con i genitori furono da subito piuttosto freddi ma il poeta fu sempre molto orgoglioso della sua nobiltà “vecchia di seicento anni” e del suo sangue in parte africano, al quale doveva i suoi tratti somatici non esattamente russi. Il suo bisnonno, il generale Abram Petrovič Hannibal, era un principe d’origine africana. Rapito da ragazzo, era stato condotto a Costantinopoli come schiavo e comprato da un conte serbo che lo portò alla corte di Pietro il Grande. Lo zar si affezionò al ragazzo, gli fece da padrino (da cui il patronimico Petrovič), lo mandò a studiare in Francia dando, così, avvio ad una incredibile scalata sociale che culminò col raggiungimento del titolo nobiliare.

Abram Hannibal, pittore sconosciuto

Puškin imparò prestissimo a parlare il francese, lingua che all’epoca veniva prevalentemente usata in quegli ambienti mentre il russo, parlato spesso male, veniva riservato ai rapporti con la servitù. Nell’ Evgenij Onegin così Puškin descriveva Tatjana, l’eroina del suo poema: “Conosceva poco il russo/non leggeva i nostri giornali/e con fatica si destreggiava/nella sua lingua natale/quindi, scriveva in francese…”.

L’amore per la lingua natale e il suo folklore fu inculcato nel piccolo Alexandr dalla amatissima balia, quella Arina Rodionovna alla quale il poeta dedicò numerose liriche negli ultimi anni della sua vita. A lei erano legati i ricordi più belli della sua infanzia solitaria: nelle lunghe sere invernali Arina gli raccontava fiabe e gli cantava canzoni. Fedele, lo seguì anche nell’esilio e, in una lettera indirizzata al fratello, Puškin scriveva: “Lei è la mia unica amica ed è solo con lei che non mi annoio”.

Cartolina: A.S. Puškin e Arina Rodionovna, 1937

                                                              SERA D’INVERNO

La tempesta ricopre d’oscurità il cielo,

intrecciando turbini di neve;

ora, come una bestia, ulula,

ora si mette a piangere come un bimbo,

a

ora a lungo il tetto decrepito

all’improvviso fa frusciare la paglia,

ora, come un viaggiatore in ritardo,

bussa alla nostra finestra.

a

La nostra fatiscente casupola

è triste e oscura.

Perché, vecchierella mia, te ne stai

silenziosa alla finestra?

a

O della tempesta ululante

tu, amica mia, ti sei stancata

oppure sonnecchi al ronzio

del tuo fuso?

a

Beviamoci sopra, cara amica

della mia giovinezza,

beviamoci sopra per il dolore, dov’è il boccale?

Il cuore si rallegrerà.

a

Cantami la canzone di come la cinciallegra

viveva tranquilla al di là del mare,

cantami la canzone di come la fanciulla

andava al mattino a prender l’acqua.

a

La tempesta ricopre d’oscurità il cielo,

intrecciando turbini di neve;

ora, come una bestia, ululerà,

ora si metterà a piangere come un bimbo.

a

Beviamoci sopra, cara amica

della mia giovinezza,

beviamoci sopra per il dolore, dov’è il boccale?

Il cuore si rallegrerà.

1825

Cominciò a scrivere versi prestissimo nel periodo della sua formazione nel Liceo Imperiale di Carskoe Selo, residenza estiva degli zar. Finiti gli studi, nei quali non brillò particolarmente, nel 1817 divenne funzionario del Ministero degli Esteri, senza di fatto svolgere mai lavori ministeriali. A San Pietroburgo, dove risiedeva in quegli anni, conduceva una vita mondana tra salotti, belle donne e amori chiacchierati.

                    A…*

Ricordo l’attimo meraviglioso:

davanti a me eri apparsa tu,

come una fugace visione,

come un genio di pura bellezza.

a

Nei tormenti di una tristezza senza speranza,

nelle ansie del rumoroso affaccendarsi,

a lungo risuonava per me la voce gentile

e sognavo i cari lineamenti.

a

Sono passati gli anni. L’impeto ribelle delle tempeste

ha dissipato i sogni precedenti

ed ho dimenticato la voce gentile,

i tuoi celestiali lineamenti.

a

In un angolo sperduto, nel buio della prigionia

si trascinavano lenti i miei giorni

senza un dio, senza ispirazione,

senza lacrime, senza vita, senza amore.

a

L’anima si è risvegliata:

ed ecco di nuovo sei apparsa tu,

come una fugace visione,

come un genio di pura bellezza.

a

E nell’estasi batte il cuore

e per lui sono di nuovo risorti

e dio e l’ispirazione

e la vita e le lacrime e l’amore.

1825

*Questa poesia, dedicata ad Anna Kern, moglie di un altolocato e pluridecorato militare, in base ad un’indagine del 2015 risulta essere al primo posto tra le cento liriche più popolari in Russia. (NdT)

Alcuni epigrammi rivoluzionari gli costarono l’allontanamento da San Pietroburgo e due anni di esilio nella sperduta e lontana Ekaterinoslav, dove si dedicò all’attività letteraria e scrisse i primi tre capitoli del suo capolavoro, il poema Evgenij Onegin.

Quando nel dicembre del 1825 alcuni ufficiali dell’esercito zarista, influenzati dai valori della Rivoluzione Francese, diedero vita a San Pietroburgo alla rivolta dei “decabristi” (dalla parola russa dekabr’=dicembre), ferocemente repressa nel sangue dal nuovo zar Nicola I, Puškin si schierò al loro fianco con alcuni suoi amici. Lo zar lo graziò ma in cambio lo spedì ad Odessa in qualità di segretario di quel generale Voroncov, al quale il poeta dedicò uno dei suoi celebri epigrammi, imponendogli al contempo di inviare tutti i suoi scritti a lui personalmente senza passare per la censura: non gli era concesso andare all’estero e i suoi movimenti erano controllati.

Tornato finalmente a San Pietroburgo, visse il momento più prolifico della sua esistenza, culminato nel 1831 nel matrimonio con la bellissima Natal’ja Gončarova, che Puškin non esitava a paragonare ad una Madonna di Raffaello.

Raffaello Sanzio “Madonna Connestabile”, 1504 circa. Museo dell’Ermitage
A. Bjullov “Ritratto di Natalja Gončarova”, 1831

MADONNA

Non con una miriade di dipinti di antichi maestri

ho sempre voluto abbellire la mia dimora

perché il visitatore li ammirasse superstiziosamente,

prestando attenzione all’importante parere dei conoscitori.

a

Nel mio semplice cantuccio, in mezzo a lente fatiche,

volevo essere in eterno lo spettatore di un solo quadro,

di uno solo: perché dalla tela, come dalle nuvole,

la Vergine e il nostro divino Salvatore –

a

lei, con la maestà, lui con il senno negli occhi,

mi contemplassero miti, nella gloria e nei raggi,

soli, senza angeli, sotto la palma di Sion.

a

Sono stati esauditi i miei desideri. Il Creatore

mi ha mandato te, te, mia Madonna,

la più pura immagine della più pura bellezza.

1830

Di questo stesso quadro (una “Madonna” di un maestro italiano, attribuita a Raffaello e venduta a San Pietroburgo) il poeta parla in una lettera del 30 giugno del 1830, scritta in francese ed indirizzata alla futura sposa: “Sosto per ore dinanzi alla bionda Madonna, a Voi somigliante come una goccia d’acqua; l’avrei comprata se non costasse 40.000 rubli”. 

Nel 1837 una lettera anonima faceva circolare chiacchiere sulla infedeltà della moglie: Puškin fu sfidato a duello dal presunto amante, il barone francese Georges d’Anthès che lo ferì a morte mentre, secondo la leggenda, il francese fu salvato da un bottone della giacca che aveva parato il colpo del poeta.

Georges-Charles d’Anthès

Dopo due giorni di agonia, il 10 febbraio del 1837, si spegneva a San Pietroburgo all’età di soli 37 anni “il sole della letteratura russa”: in quei pochi anni di vita aveva “donato” alla letteratura mondiale autentici capolavori sia in versi che in prosa. In essi aveva cantato l’amore in tutte le sue sfaccettature ma anche celebrato le alte virtù morali cui l’uomo deve ambire nel corso della vita, stigmatizzato i vizi e i vezzi della classe sociale cui pure orgogliosamente apparteneva, condannato la cieca ottusità del potere costituito.

Adrian Volkov “Il duello di Puškin e d’Anthès”,1869

Poiché il governo temeva rivolte popolari, i funerali religiosi del poeta si celebrarono nella massima semplicità e il suo corpo fu trasportato segretamente nella notte per essere sepolto nella proprietà di famiglia.

“Il barone d’Anthès – sia tre volte maledetto il suo nome”, così scriveva nel 1842, a cinque anni dalla morte di Puškin, Nikolaj Michailović Smirnov. Quel nome fu maledetto non solo tre volte, arrivando a divenire sinonimo di “empio” e “deicida”. Eppure, ormai vecchio, d’Anthès parlando di Natalja con alcuni amici aveva confessato: “Era così diversa dalle altre! Ho avuto tutte le donne che ho voluto, eccetto quella che il mondo intero mi ha attribuito e che, suprema derisione, è stata il mio unico amore”.  

Dmitrij Beljukin “La morte di Puškin”, 1986

Nei suoi lavori dedicati a Puškin Anna Achmatova ha analizzato le circostanze che hanno condotto alla morte del poeta, formulando un nettissimo giudizio di condanna nei confronti di Natalja che riteneva essere uno dei principali responsabili di quanto accaduto. “Dai diari di Alexandrine Gončarova, trovati in Austria ai tempi della guerra, risulta che Natalja Nikolaevna si vedeva con d’Anthès anche dopo il suo matrimonio col generale Pëtr Lanskoj, avvenuto nel 1844. Ovviamente, all’epoca, era un donnone obeso, quindi non c’entravano nulla zefiri ed amorini. Aveva semplicemente voglia di conversare con l’uomo che aveva ucciso suo marito, lasciando orfani i suoi quattro figli”. “Natalja Nikolaevna non era soltanto stupida: era avida, ingorda, una malvagia carogna. Adorava d’Anthès. Tutti lo amavano: i giovani Kuzmin, i Vjazemskij. Al momento del duello Puškin era solo.”

Se è vero che, come ebbe a dire Dostojevskij, tutti gli scrittori russi vengono dalle falde de “Il cappotto” di Gogol’, è altrettanto innegabile che tutta la poesia russa “viene” da Puškin.

Nel corso dei secoli il poeta è stato oggetto di un’autentica venerazione collettiva e non c’è stato un solo poeta/scrittore russo che, riconoscendo in lui una sorta di “filiazione”, non abbia omaggiato Alexandr Sergeevič con versi e citazioni.

Vediamone insieme alcuni. 

– La nostra memoria serba fin dall’infanzia un nome allegro: Puškin. Questo nome, questo suono riempie molti giorni della nostra vita. Accanto ai cupi nomi degli imperatori, dei condottieri, di inventori di armi per uccidere, di torturatori e martiri, si affaccia un nome, Puškin. Egli seppe portare con allegria e gentilezza il suo fardello, sebbene il suo ruolo di poeta non fosse né facile né allegro ma tragico.

Alexandr Blok  

– Puškin era realmente il sole della letteratura russa che ha elargito i suoi raggi a enorme distanza ed ha chiamato in vita un’infinita quantità di piccoli e grandi satelliti. Ha concentrato in sé la freschezza della giovane razza, l’ingenua spontaneità e l’eloquenza di un vivace bambino geniale per il quale tutto è nuovo, che a tutto reagisce, nel quale ogni contatto col mondo visivo risveglia un intero ordine di pensieri, sentimenti e suoni. Konstantin Bal’mont

– Puškin non fu ucciso dalla pallottola di d’Anthès. Lo uccise la mancanza d’aria. Con lui moriva la sua cultura.

Alexandr Blok

Monumento a Puškin a Mosca inaugurato il 6 giugno del 1880

PUŠKIN

Sognando il dono possente

di Colui che è diventato il destino russo,

me ne sto sul boulvard Tverskoj,

me ne sto e parlo con me stesso.

a

Biondo, quasi albino,

divenuto nelle leggende simile a nebbia,

oh Alexandr, eri un donnaiolo

come io oggi sono un teppista.

a

Ma questi dolci sollazzi

non hanno oscurato la tua immagine

e nel bronzo di gloria forgiata

scuoti la testa orgogliosa.

a

Ed io sto in piedi, come al cospetto della comunione,

e in risposta ti dico:

morirei adesso per la felicità

di poter meritare un tal destino.

a

Ma, condannato alla gogna,

canterò ancora a lungo…

affinché anche il mio canto della steppa

possa risuonare come bronzo.

Sergej Esenin – 1924

Questa poesia fu composta in occasione del 125° anniversario della nascita di Puškin (NdT).

PUŠKIN

Ci sono nomi come il sole! Nomi –

come la musica! Come un melo in fiore!

Io parlo di Puškin: un poeta

attuale, in qualunque tempo!

a

Ma comprende forse il mio paese –

tutti questi anziani, giovani e fanciulli –

quanto è complesso parlare in un sonetto

di quello di cui l’anima mia è colma?

a

Devo onorarlo! – temo le ripetizioni…

Posso forse rendere l’odore del lillà?

Posso forse prendere con la mia mano una nuvola?

a

Dopo averlo ucciso, per chi sono i nostri sospiri?

D’Anthès ha ucciso il pensiero russo di un’epoca

e questo andrebbe compreso…

Igor Severjanin – 1926

PUŠKIN

Chissà cos’è la gloria?

A quale prezzo ha comprato il diritto,

la possibilità o la grazia

su tutto così saggiamente e astutamente

scherzare, misteriosamente tacere

e chiamare il piede piedino?…
Anna Achmatova – Taškent, 7 marzo 1943

– Puškin per la letteratura russa è come Leonardo per l’arte europea.

Maxim Gorkij

– Puškin era russo fino al profondo dell’animo…Conosceva tutte le sofferenze dell’uomo civilizzato ma credeva nel futuro, qualità che l’uomo occidentale ha perso.

 Alexandr Herzen

– Cos’è Puškin per noi? Un grande scrittore? No, di più: uno dei più grandi fenomeni dello spirito russo. E ancor di più: l’assoluta testimonianza dell’essere della Russia. Se esiste lui, esiste la Russia. E per quanto ci vogliano far credere che la Russia non c’è più, perché lo stesso nome della Russia è stato cancellato dalla faccia della terra, basta ricordare Puškin per ricordare che la Russia c’è stata, c’è e ci sarà.

Dmitrij Merežkovskij

MONUMENTO A PUŠKIN

                    …E Puškin cade

                   nell’azzurognola neve pungente.

                            E. Bagrickij

…E silenzio.

E niente più parole.

E l’eco.

E anche la stanchezza.

…I suoi versi

finendo col sangue,

cadevano sordamente a terra.

Dopo guardavano lentamente

e teneramente.

Si sentivano selvaggi, freddi

e strani.

Su di loro si chinarono, senza speranze,

dottori dai capelli grigi e padrini.

Su di loro le stelle, trasalendo,

cantavano,

su di loro si fermavano

i venti…

Un viale deserto.

E il canto della bufera.

Un viale deserto.

E il monumento al poeta.

Un viale vuoto.

E il canto della tempesta.

E la testa

stancamente china.

…In una notte simile

rigirarsi nel letto

è più piacevole

che starsene

sui piedistalli.

Josif Brodskij – 196(?)

Alexandr Sergeevič sta bene!

Benissimo!

Risuona la ruota del mulino,

il dolore è svanito,

a

una donna strizza gli occhi dall’isba,

nel cielo – allodole,

solo dieci minuti di strada

fino alla fiera più vicina.

a

Lui ha un mestiere – di prima scelta

e la penna è pungente…

Ha labbra carnose ed è erudito come un diavolo

e tutto gli riesce facile:

a

viveva ad Odessa, capitava in Crimea,

viaggiava in carrozza,

gli davano soldi in prestito

fino alla morte.

a

Gendarmi assai gentili e silenziosi,

tartassati dai servizi,

i suoi versi

imparavano a memoria!

a

Persino lo zar lo invitava a casa,

sperando di fare

così due chiacchierare

con un tal poeta.

a

Amava le belle donne

di un amore non cerimonioso

e fu persino ucciso

da un bell’uomo.

a

Sapeva imbrattare la carta

al crepitio delle candele!

Aveva qualcosa per cui morire

nei pressi dellla Čërnaja rečka.*

Bulat Okudzava – 1967

*Si tratta del fiume a San Pietroburgo presso il quale avvenne il duello (NdT)

Anche lo scrittore Daniil Charms ha omaggiato a Puškin ma lo ha fatto con la sua consueta irriverenza, scrivendo in suo onore sette piccoli sarcastici racconti. Ve ne proponiamo un paio.  

– Puškin trascorse l’estate del 1829 in campagna. Si alzava di mattina presto, beveva del latte appena munto e correva al fiume a nuotare. Dopo il bagno nel fiume, Puškin si stendeva sull’erba e dormiva fino all’ora di pranzo. Dopo il pranzo dormiva nell’amaca. Incontrando contadini puzzolenti, Puškin accennava un saluto col capo e si turava il naso con le dita. Ma i contadini puzzolenti si toglievano il cappello e dicevano: ”Non fa gnente”.

– Quando Puškin si ruppe le gambe, cominciò ad andare sulla sedia a rotelle. Gli amici amavano punzecchiarlo e lo afferravano per la sedia. Puškin si arrabbiava e scriveva per questi amici dei versi insultanti. Chiamava questi versi “epigrammi”.    

Un tizio aveva la mia Aglaja*                                              

per la sua uniforme e i baffi neri,

un altro per i soldi – capisco,

un altro perché era francese,

Cleon – mettendola in soggezione col suo intelletto,

Damis – perché cantava teneramente.

Dimmi allora, amica mia Aglaja,

per quale motivo ti aveva tuo marito?

1822

*Aglaja Antovovna, moglie del maggior generale Davidov (NdT).

SU VORONCOV

Mezzo-milord, mezzo-mercante,

mezzo-saggio, mezzo-ignorante,

mezzo-mascalzone ma c’è la speranza

che alla fine diventerà completo.

1824

– Conosciamo Puškin come uomo, Puškin come amico della monarchia, Puškin come amico dei decabristi. Ma tutto questo impallidisce davanti al Puškin poeta.

Alexandr Blok

l’illustrazione «l’incontro a lungo atteso» della rivista satirica “Krokodil”, 1958  «Aleksandr Sergeevič, / permettete che mi presenti: / Majakovskij». 

                                              – Majakovskij, rileggete ogni tanto Puškin?

                                              – Non ho bisogno di rileggere Puškin,

                                                 io, Puškin lo so a memoria.     

                                                          Vladimir Majakovskij

2 Comments

  • antonio sagredo

    Ho sempre considerato Puškin più grande di Goethe, perché al contrario di questi non aveva nulla su cui poggiarsi per costruire e realizzare una nuova lingua. Al contrario, appunto, Goethe aveva già la lingua di Martin Lutero su cui costruire le sue opere. Ricordo che Puškin inviava a Goethe i propri lavori per avere da questi un parere.
    Il quadro del “continente” Puškin che qui viene dato con la traduzione di qualche sua poesia più alcuni commenti, se pur lodevoli, danno una idea molto ristretta del suo mondo poetico; in uno spazio come quello di un blog non si poteva fare di meglio. Per comprenderlo meglio sono necessari conoscere i grandi studi (per restare in Italia) dello slavista Ettore Lo Gatto e di altri eminenti slavisti; notevoli sono le riflessioni e alcune traduzioni dello scrittore Tommaso Landolfi, e cito il suo nome soltanto come esempio (vi sono poi altri studiosi non slavisti che apportano il loro significativo contributo).
    Tutto l’ottocento e novecento letterario russo si inchina devoto a Puškin. A cominciare da Gogol’ tutti i grandi poeti e scrittori riconoscono in lui l’origine di tutto.
    Il concetto di “continente” usato per Puškin fu usato soltanto circa 100 anni dopo per Velemir Chlebnikov, riconosciuto subito da Majakovskij come il padre di tutti i poeti a lui contemporanei, e perciò di tutti i poeti del secolo d’argento, ma pure per tutti quelli che verranno compreso il nobel Brodskij, fino ai nostri giorni.
    “Inoltre Benedikt Livšic, poeta e critico, riconobbe istantaneamente l’importanza fondamentale di Chlebnikov, al pari di Majakovskij, e lo riferì apertamente e con grande vigore al futurista Marinetti a Pietroburgo nel 1914, paragonandolo per importanza, appunto, a Puškin”. (dal Corso su Majakovskij di A. M. Ripellino, 1971-72, pag. 14)
    Pasternak invece cerca di svincolarsi da Chlebnikov dopo l’entusiasmo iniziale, e lo stesso farà vanamente con Majakovskij, di cui è debitore di tecniche e di alcune metafore del primissimo futurismo. Certo non farà così con Puškin!
    I poeti nascosti , quelli del “samizdat” degli anni ’50 del novecento e quelli più o meo ufficiali intorno a Evtušenko, non potettero che riconoscere ognuno a modo suo che la paternità dei loro versi derivi da Puškin, insomma come da noi è Dante!
    Dante amatissimo già da Puškin sarà sempre amato alla stessa stregua dai poeti successivi dell’ottocento in poi, p.e. da A. Blok, da l’Achmatova ecc., e Mandel’stam (che dedica pagine strabilianti).
    E per i russi tutti questo è il loro “SOLE” che ancora risplende. Il potere che lo uccise e che si servì di una sinistra figura francese per realizzare l’omicidio, lo ha poi sempre glorificato: questo accade per ogni grande poeta russo, che è l’unico baluardo che si oppone al potere, e come esempio magnifico di opposizione al potere brilla la figura del poeta Osip Mandel’štam (da ricordare i suoi versi che beffeggiano il tiranno di turno, definito da lui il “montanaro del Caucaso”); e tra l’altro è il poeta del novecento russo che più gli si avvicina per la classicità dei suoi versi, e non solo per forma , ma pure per contenuti, e per il concetto similare che hanno riguardo la storia.
    La luminosità e la chiarezza dei versi di Puškin è proverbiale, ma già con Lermontov, suo contemporaneo, abbiamo la presenza di nuvole; mai suoi versi non oscurano i versi dei poeti a lui successivi che cambiando i tempi cambiano anche le tecniche compositive. A cento anni di distanza anche Pasternak si rivela un “acquazzone luminoso”, ma è una luce diversa pervasa dallo stupore di scoprire nuovi mondi più che la chiarezza dei concetti che sono la base delle sue meravigliose metafore e metonimie, tra l’altro parecchio oscure se lo stesso A: M: Ripellino scrive nel 1957: “Molte volte, dopo torture interiori e ripensamenti e continue trasformazioni, l’ultima soluzione non era forse la migliore. Ma in qualche caso né lo stesso poeta né i suoi amici riuscirono a chiarirci le zone oscure”. Segue: “E a questo interesse erano d’incentivo a Praga e a Varsavia i colloqui con altri poeti che vedevano in lui come il simbolo della migliore cultura russa. Coi lirici cechi František Halas e Vladimir Holan, col polacco Mieczyslaw Jastrun il discorso tornava spesso e all’arte e al destino di Boris Pasternàk. Su tutta una serie di riferimenti, allusioni e minuzie dell’opera di Pasternàk ci ha illuminato un giovane critico polacco; Ziemowit Fedecki, che fu a lungo a Mosca accanto al poeta.”
    Dunque, anni fa mi recai alla statua di Puškin, che è a Villa Borghese in Roma, per omaggiarlo e rendergli onore, era una giornata piovosa e grigia che mi ricordò gli ultimi suoi giorni di vita.
    Nel 2014 il russista e polonista Paolo Statuti pubblica la traduzione di 32 poesie di Puškin, che è uno degli ultimi apporti sul poeta – edizioni DFR; concorro alla introduzione con l’apporto di alcune mie considerazioni sul poeta e sulle sue poesie dal titolo comprensivo che riprende una sua frase “Con gli sciocchi non entrare in discussione”, e che è in definitiva una variante di una frase di Dante, il celebre “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”.
    Puškin ha un “temperamento ondeggiante tra l’allegria e la malinconia” che è messo ben a fuoco da uno studio di Landolfi e che caratterizza tutta la sua esistenza e che è presente in Onegin in maniera ossessiva; Landolfi conclude che ”l’intera sua opera, e del resto sempre meglio, si va manifestando col procedere del tempo, e pone il Poeta tra i maggiori del suo tempo” (in Gogol’ a Roma, Adelphi 2002, p.31), e che conferma la mia considerazione iniziale, specie in rapporto a Goethe.

  • Giorgio Linguaglossa

    di solito quando un poeta dice di un altro poeta che> Non ho bisogno di rileggere Puškin, Puškin lo so a memoria, vuol dire semplicemente che lo ha messo da parte, ma Majakovskij lo dice con educazione, quasi con garbo, del resto alla musa di Majakovskij la poesia di Puškin non poteva che risuonare un poco antica, pur riconoscendogli laura di poeta princeps. Non conoscevo la poesia di Majakovskij su Puškin, davvero bella, e del resto quello che Puškin e per i russi, che in lui si riconoscono, noi in Italia non abbiamo un equivalente… Dante non fa questione, un fuori questione, e poi da quando il Ministro Sangiuliano lo ha definito @poeta di destra@, abbiamo fatto ridere il mondo, Il Manzoni, poeta imposto per motivi politico/culturali, e un-altra cosa. Bellissimo articolo. Grazie.

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